domenica 10 gennaio 2010

L'importanza dell'agricoltura nel periodo di guerra


Nel periodo di guerra gran parte della popolazione maschile italiana era impegnata a combattere.Tutti gli altri cosa facevano?
Quasi la metà(il 42,9% in media in Italia) di quelli che non andavano in guerra era impegnata nel settore primario, ma era un'agricoltura povera, solo per il consumo locale; comunque bisogna aggiungere che in Europa la media del settore primario nei paesi più poveri arrivava a toccare il 90%. In Italia le industrie erano rare e soprattutto nel nord-ovest italiano. Oltretutto la produzione agricola si era ridotta notevolmente rispetto all'anteguerra; tra i motivi vi furono la scarsa disponibilità di fertilizzante per concimare i terreni(perchè si stava tramutando qualsiasi piccola industria in un'altra a scopo bellico), sia, ovviamente, perchè i contadini erano richiamati alle armi.In loro assenza erano le donne ed i ragazzi non in età adulta ad occuparsi dei campi. Quindi si può facilmente capire che le donne ebbero un ruolo fondamentale nell'agricoltura durante il periodo di guerra. Infatti quando si passava per i campi(che occupavano gran parte del paesaggio italiano) era molto più facile vedere delle donne al lavoro al posto degli uomini.Comunque questa percentuale variava anche dalla parte d'Italia in cui ci si trovava: nell'Italia meridionale(esclusa la Sardegna)il settore primario raggiungeva il 63,4%, nell'Italia centrale si sfioorava il 60%, nel nord-est quasi il 56% e, al contrario, nelle regioni industrializzate del nord-ovest(Lombardia, Piemonte e Liguria) arrivava al 35%, come nei paesi europei più avanzati. Nonostante nel periodo della Guerra fossero morti circa un milione e mezzo di contadini il Censimento del '51 mostrava una dominanza dell'agricoltura simile alla situazione della fine degli anni Trenta. Questa considerazione ci fa capire che nonostante la guerra avesse indebolito fortemente l'agricoltura, restava il settore portante dell'Italia in quanto le industrie non avevano ancora abbastanza materie prime per lavorare e molto spesso rimanevano povere. Quindi si può facilmente capire che gli scenari descritti ne "I Piccoli Maestri" sia realistico e ci fa ben comprendere la differenza tra quello che una volta era campagna( una grandissima distesa di campi fra un paesello e l'altro) e quella che intendiamo noi(qualche campo intorno al paese).


Lazzari Matteo

L'insurrezione di Padova



Camminavamo in mezzo alla strada, andando incontro all’ottava armata.[...] Com’è strana la vita, sono arrivati gli inglesi. Benvenuti. Questi carri sono i nostri alleati. [...] “Benvenuti” dissi. “La città è già nostra”. [...] Rientrammo in città seduti sul carro chiacchierando a urli con gli inglesi.
-Luigi Meneghello; I Piccoli Maestri-


Il giorno 28 aprile (e la notte del 27) furono per Padova storici. Divenuta per alcune ore teatro di una violenta schermaglia urbana tra truppe tedesche della R.S.I. e partigiani, la città fu infine liberata poco dopo lo zenit dai combattenti volontari padovani, che costrinsero alla resa anche i soldati tedeschi di stanza fuori città, appartenenti alla ventiseiesima divisione. I partigiani che operarono alla liberazione non sono assimilabili ad una sola delle tante “bande” che imperversavano contro i tedeschi nel triveneto, bensì al più generale comando del CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale, o meglio la sua divisione veneta; avente fra i maggiori esponenti popolari alcuni dei più insigni professori dell’Università di Padova (fungente anche da sede, all’occorrenza), che non a caso ricevette la medaglia al valore militare. Come detto prima, furono più le azioni dei partigiani, che non quelle degli Alleati, a liberare Padova dal giogo nazista. Già nei giorni precedenti erano andate in porto alcune azioni preparatorie –sagacemente studiate-, come la postazione di soldati nei pressi dei ponti sul Brenta, pronti ad occuparli allo scattare della controffensiva, per bloccare gli spostamenti della Xª Flottiglia MAS. Proprio questa occupazione fu vitale per la ribellione: senza poter avere una mappa chiara dei luoghi di scontro, la Xª ordinò un attacco d’artiglieria su vasta scala, con morti da ambo gli schieramenti, per poi essere costretta alla ritirata dai vari presidi sui ponti. La disorganizzata guerriglia di strada volse ben presto a favore dei padovani: grazie al presidio armato di molti edifici, i partigiani ebbero facilmente la meglio sulle ignare truppe tedesche, impossibilitate ad eseguire gli ordini del feldmaresciallo Kesserling, che continuava a ordinare la resistenza ad oltranza (via radio). La resa, voluta dalla divisione Platzkommandantur, fu firmata in una sala del Convento di S. Antonio, alla presenza dei capi del CLN, dal comandante della divisione sopraccitata, appunto. I caduti partigiani furono 224, quelli civili più di un centinaio. I tedeschi, dal canto loro, lasciarono sul terreno ben 500 uomini, mentre gli arresi furono 19.500. L’XIIIª Armata Inglese giunse al termine degli scontri, appena in tempo per prendere in consegna i prigionieri, da scortare al tribunale marziale di Venezia; e godersi il plauso delle folle.
Dal Zovo Luca

LA GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA



Nel dicembre dell’anno millonovecentoquarantatrè, il governo fascista istituì un nuovo corpo militare, la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR). Essa incamerò i reali carabinieri e la polizia dell’africa italiana (ossia la polizia coloniale) e prese posto, guidata dall’ex Presidente Renato Ricci, nella Repubblica Sociale Italiana.
Questo nuovo organismo arrivò a contare un esercito di più di centoquarantamila uomini, che mantennero le loro vecchie uniformi rimuovendo però le stellette delle forze armate regie dai loro alamari (L’alamaro era un tipo di allacciatura).
Tale organizzazione risultò estremamente radicata nel territorio grazie all’unione dei distaccamenti territoriali della Milizia e dell’Arma. Nonostante la sua potenziale efficacia operativa, spesso venne a scontrarsi con la diffidenza e l’aperta ostilità delle forze germaniche alleate: più di qualche volta i comandi tedeschi negarono alla GNR la possibilità di usufruire delle caserme, poste sotto il loro diretto controllo.
Solo con l’intervento personale di Benito Mussolini e un suo collaboratore si poterono dare alla GNR rifornimenti. Questi non furono sempre utilissimi, poiché consistevano in vecchi fucili.
La GNR possedeva più milizie armate: ferroviaria, portuaria, post telegrafonica, montagna e foreste, frontiera ed infine quella stradale. Come viene descritto nel libro di Meneghello, la GNR di montagna operava spesso rastrellamenti che costringevano i partigiani a nascondersi o ad impugnare le armi.
Dopo circa un anno dalla sua fondazione,nell’agosto del millenovecentoquarantaquattro, la Guardia Nazionale Repubblicana venne inglobata nell’Esercito Nazionale Italiano come prima Arma delle Forze armate. Nonostante ciò, essa continuò a compiere un lavoro di sicurezza dietro le linee del fronte in ausilio delle forze germaniche, fino a quando, nel millenovecentoquarantacinque, verrà sciolta definitivamente.

Samuele Saggiorato

sabato 9 gennaio 2010

GLI INGLESI LIBERATORI


M4 Sherman inglesi


“Il primo carro si fermò; sopra c’era un ufficiale con un soldato. Avrei voluto dirgli qualcosa di storico. -Non siete mica tedeschi, eh?- dissi. -Not really- disse l’ufficiale. –Benvenuti- dissi -La città è già nostra-…”


Il 14 gennaio 1943, al termine della Campagna del Nord Africa, il presidente degli Stati Uniti d’America Franklin D. Roosevelt e il primo ministro inglese Winston Churchill, s’incontrarono a Casablanca, in Marocco, dove decidettero di organizzare e mettere in atto l’invasione dell’Italia.
L’inizio della Campagna d’Italia fu permesso dall’Operazione Husky, che consisteva nella conquista della Sicilia da parte delle forze angloamericane. Nonostante la coraggiosa resistenza opposta dai soldati dell’Asse, in poco più di un mese l’isola fu totalmente sotto il controllo alleato.
Sebbene la Sicilia fosse in mano alleata dal 17 agosto solo il 3 settembre, con l’Operazione Baytown, iniziò l’invasione dell’Italia continentale. In quello stesso giorno si firmò l’armistizio fra il Regno d’Italia e le forze alleate. All’Operazione Baytown, grazie al quale gli Alleati ottennero una base nell’Italia peninsulare, seguirono l’Operazione Slapstick, che consisteva nello sbarco alleato a Taranto, e l’Operazione Avalanche, che consisteva nello sbarco a Salerno.
Fino alla fine del 1943, l’unico ostacolo all’avanzata alleata in Italia era rappresentato dalla Linea Gustav, rotta solo nella primavera del 1944 al quale seguì la presa di Roma nel giugno dello stesso anno; dopo la conquista della capitale anche l’ultima linea difensiva a nord di quest’ultima, la Linea Gotica, venne superata nella primavera del 1945, in seguito al successo dell’Operazione Sunrise, ovvero un’operazione segreta di intelligence, che ebbe lo scopo di negoziare la resa delle forze tedesche del nord Italia e il passaggio dei poteri della Repubblica Sociale alle forze alleate.
Infatti, il 25 aprile 1945, la Repubblica Sociale Italiana cadde, permettendo agli Alleati la liberazione delle città ancora sotto il controllo nazifascista del nord Italia. Le truppe britanniche che ormai avevano oltrepassato il Po nei pressi di Ferrara, erano diretti a Padova. In questa città aveva sede il comando regionale del Corpo Volontari della Libertà (CVL) e insorse il 27 aprile contro i nazifascisti che ancora la occupavano. I fascisti si arresero subito alle forze partigiane, ma i tedeschi si arresero solo in tarda serata, all’arrivo dell’Ottava Armata inglese.


Carlan Gian Marco

venerdì 8 gennaio 2010

La bici ieri e oggi.


Si viaggiava molto, anche coi treni, ma sopratutto in bicicletta; si andava in tutti i centri provinciali, e nelle città, Venezia, Verona, Treviso, Rovigo. Da Vicenza, si capisce, giravamo al largo. Un paio di volte andai in bicicletta anche a Milano, al Centro dei centri.”

Come lascia intendere questo trafiletto dei “Piccoli maestri”, al tempo della Resistenza, la bicicletta era il mezzo di trasporto maggiormente usato dagli strati popolari. In Italia, l'uso di essa mise paura ai nazifascisti che vedevano in ogni ciclista, un potenziale ribelle pronto a sparare, tanto che il generale Fiorenzo Bava Beccaris, decretò che in tutta la provincia di Milano, l'uso della bicicletta fosse vietato, ma dovette far marcia indietro, dato che tale divieto significò un blocco della produzione, siccome era il mezzo di trasporto degli operai.Tra le file partigiane, presero parte anche numerosi ciclisti che, liberi da impegni lavorativi a causa del conflitto in corso, decisero di schierarsi con i partigiani, affinché potessero continuare ad utilizzare il loro abituale strumento lavorativo.La bicicletta era dunque un mezzo con cui i partigiani si tenevano in contatto, compivano azioni, fuggivano alla cattura della polizia, trasportavano documenti, armi e addirittura bombe, tutto nascosto nei doppi fondi di cestini di vimini.Anche nel dopoguerra la bici fu molto diffusa fra i braccianti nelle campagne.Al giorno d'oggi, data la gran diffusione dell'uso dell'automobile, la bicicletta è stata per lo più accantonata e, se viene utilizzata, è solo per delle commissioni o degli spostamenti che non superano i 2 km; inoltre, l'adozione della bici non è favorita in alcun modo, dato che spesso per favorire il traffico di automobili, si vanno a creare delle situazioni di pericolo per i ciclisti e gli investimenti per diffonderne l'uso vengono spesso sminuiti dai comportamenti irrispettosi degli automobilisti nei confronti di chi vuol spostarsi in bici.
Laura Sanson

domenica 27 dicembre 2009

Le donne della guerra



Partigiane , infermiere, staffette ,informatrici.
In prima linea ,nonostante tutto, c’erano anche loro:le donne della guerra, che la guerra l’hanno fatta, vissuta e raccontata.
«Caratteristica fondamentale della resistenza femminile che fu uno degli elementi più vitali della guerra di liberazione è proprio questo suo carattere collettivo, quasi anonimo, questo suo avere per protagoniste non alcune creature eccezionali, ma vaste masse appartenenti ai più diversi strati della popolazione, questo suo nascere non dalla volontà di poche, ma dalla iniziativa spontanea di molte»A. Marchesini Gobetti.

Così la donna non si distingueva più solo per il ceto sociale:
C’era la partigiana, che combatté con il sangue per la liberazione della patria
C’era l’infermiera , che soccorreva i tanti troppi caduti che una guerra fatta da un esercito non regolare e improvvisato provocava
C’erano le staffette , cioè coloro che , per conto dei vari reparti di partigiani, costituivano l’unico e vero mezzo di comunicazione.
Durante le soste di pernottamento e di riposo, le staffette andavano nell'abitato in cerca di viveri, di medicinali e , soprattutto, di informazioni riguardo eventuali reparti nemici nelle vicinanze.
C’erano infine le informatrici, coloro che tenevano aggiornati i vari reparti sulla situazione politica generale e sull’andamento delle battaglie nella penisola.
Ogni donna non fascista dell’epoca partecipò per quanto possibile alla resistenza.
Le contadine accoglievano e rifocillavano, rischiando d’essere scoperte, i partigiani di passaggio, trattandoli spesso come figli.
E’ infatti questo il ruolo che Marta, nel libro ‘I piccoli maestri ’ , riveste a pieno , difendendo l’identità e l’ubicazione dei partigiani che ospitava anche a costo di essere arrestata e torturata.
Le donne però, che come molti ritengono, furono colonne portanti dell’organizzazione e della gestione della guerra partigiana, non furono mai lodate e premiate per gli sforzi ed i rischi corsi durante la guerra, quasi solo il braccio dell’uomo fosse stato l’artefice della vittoria partigiana.